Aglianicone: il vino dimenticato che torna a raccontare la sua storia

Aglianicone: il vino dimenticato che torna a raccontare la sua storia

In un mondo del vino spesso dominato da nomi altisonanti e denominazioni celebrate, ci sono vitigni che restano nell’ombra, eppure racchiudono una storia profonda, antica, talvolta sorprendente. L’Aglianicone è uno di questi. Non va confuso con l’Aglianico, più noto e diffuso: l’Aglianicone è un vitigno a sé, con tratti organolettici peculiari e una storia che attraversa guerre, emigrazioni, proibizionismo e rinascita.

Vino dalla struttura generosa, colore intenso e tannini morbidi, l’Aglianicone ha rischiato più volte di scomparire. Eppure, proprio in questa fragilità si cela il fascino di un prodotto autentico, che parla il linguaggio della terra e del tempo. Il suo recupero, oggi, è un atto di coraggio e di memoria.

Castel San Lorenzo: un borgo tra vigne, silenzi e memoria

Per comprendere davvero l’Aglianicone, bisogna andare lì dove la sua anima ha preso forma: a Castel San Lorenzo, nel cuore della Campania interna, tra le pieghe della provincia di Salerno. Un paese di poco più di cinquemila abitanti, incastonato tra colline generose e silenzi operosi, dove la viticoltura un tempo era vita quotidiana, economia, identità.

Qui la vite ha da sempre scandito le stagioni, i ritmi familiari, le storie tramandate a voce. E qui, l’Aglianicone ha trovato la sua culla. Negli anni d’oro del secolo scorso, questo vitigno rappresentava il 90% della produzione vinicola del paese. Il vino viaggiava lontano, persino in America, fino a quando la Storia – con la S maiuscola – non decise di spezzare il suo cammino.

E poi, il silenzio. La fillossera, la guerra, l’abbandono delle campagne. L’Aglianicone, come molti vitigni minori, sembrava scomparso, dimenticato. Finché qualcuno non ha deciso di ascoltare il passato.

“Inizia la storia…”

È l’Azienda Agricola Scairato a riaccendere la miccia del racconto, con parole che sembrano uscire da un romanzo di memoria contadina:

“Inizia la storia. Castel S. Lorenzo, abitato da un popolo laborioso e instancabile, rendeva la viticoltura fonte economica primaria fino ad arrivare ad una produzione di circa 100mila ettolitri di vino all’inizio del secolo scorso. Il 90% del vino prodotto era Aglianicone.
Buona parte del vino veniva commercializzato in America, fino alla famosa storica era del proibizionismo. La restante parte arrivava nella provincia di Salerno e Napoli.
Trasportato con carretti e carri trainati da cavalli e muli, la strada principale nel periodo delle consegne era caratterizzata da cumuli di botti: tonneaux e barriques.”

Poi, l’inatteso. Il colpo di scena che dà vita a una nuova epoca per questo vino dimenticato:

 

“Dalla fine degli anni ’80, Giuseppe Capo, enologo della allora Val Calore, individua una pianta di vite in una sterpaglia. Risulta un’antica pianta di Aglianicone, sopravvissuta alla filossera che devastò tutta l’Europa nella metà del secolo scorso.
Da questa pianta, nascono le prime barbatelle per un campo sperimentale in collaborazione con la Regione Campania. Da qui, le prime vinificazioni e la consapevolezza del potenziale strutturale e organolettico del prodotto finale.”

Un gesto semplice, quasi fortuito, che diventa rivoluzionario. Da una pianta dimenticata nella sterpaglia, rinasce un pezzo di identità locale. L’azienda Scairato, custode di questa rinascita, decide di impiantare un nuovo vigneto, proprio lì dove la memoria non si è mai del tutto spenta.

 

“All’epoca, a Castel S. Lorenzo, paese di circa 5000 abitanti, ogni famiglia possedeva una piccola cantina.
Purtroppo, a causa delle guerre e successivamente della filossera, si è detto addio all’Aglianicone.”

Oggi, invece, quell’addio si sta lentamente trasformando in un ritorno. Un ritorno fatto di passione, riscoperta e resilienza. E il Food Experience Festival vuole essere palco e amplificatore di queste storie: perché i vitigni dimenticati hanno bisogno di voci nuove per tornare a raccontarsi.

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